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18

marzo

Bachatango

La bachatango è una danza di origine recente nata dalla fusione della bachata con il tango.
La Bachata è un ballo passionale, eroticamente carico, spesso giocoso… E’ una “finction” di coppia: Si accetta un invito, lo si respinge con un rifiuto, si simula una lite che… alla fine si placa con atti di passione e ardore; si parla con la dama attraverso movimenti del corpo, le si fa capire quello che si vuole, non si vuole, quello che si pensa ancora prima che si riesca a pensarlo… Magie dell’inconscio!
Il tango è una disciplina più burrascosa, in cui le parti più giocose sono assenti; va ballato con “grintosa dolcezza” (non come un’esibizione di arti marziali, come a volte si vede in pista). La passionalità è al massimo, i pensieri sono però improvvisi, difficili da interpretare prima che avvengano ma, quando avvengono, sono sicuri e decisi.
Due balli con lati simili e diversi, dunque; ma sprattutto le due danze hanno le battute in 4/4, e quindi sono compatibili in figure e sfumature. Lo stesso non si può dire però in termini veloc battute al minuto, che nella bachata sono leggermente superiori.

Storia
L’accostamento tra il tango e la bachata arriva dagli anni ’80, per esattezza il 1985. La maggior parte degli storici musicali concorda con l’asserire che la prima canzone di bachatango è quella di Grace Jones, I’ll never seen the face, riadattamento della famosissima Libertango, di Astor Piazzolla.
La bachatango irrompe sulla scena musicale latina nel 2007 circa, grazie alla scelta oculata di alcuni coraggiosi D.J. che iniziano ad inserire all’interno della loro scaletta di bachata alcuni brani musicali che denotano particolari sonorità “tanghere”.
In verità il colpo di genio è tutto italiano, nato dalla creatività di alcuni maestri di ballo(ad esempio il maestro Gianni Cugge) che, con orecchio fine, sentivano che queste particolari musiche ben si adattavano ad essere ballate in bachata. Molti, al loro approccio con questo stile, pensavano che si trattasse di un fenomeno apprezzabile, molto interessante ma di breve durata. Quasi una parentesi occasionale all’interno delle tante variazioni che la vera bachata può offrire.

Come si balla
La struttura di base rimane quella della bachata: 3 passi ed un TAP (passo senza peso con sola punta del piede appoggiata). All’appoggio del TAP effettuazione dell’MCB, ovvero movimento caratteristico del bacino. Altri tre passi ed altro TAP con relativo MCB. Fin qua la bachata. Anche le figure di esecuzione sono della bachata: giri, vueltas, figure semplici come il “cabral”, “catalina”. L’influenza del tango interviene su quelle parti tecniche che servono alla realizzazione del linguaggio, dello stile. E qui si deve fare attenzione e chiarire alcuni punti. Ballare bachatango non significa prendere le figure del tango e ballarle sulla trama musicale e sulla ritmica della bachata, perché la cadenza ed il ritmo sono diversi, in origine, tra i due generi e si rischia di vedere figure di tango, eseguite sul ritmo bachata, divenire lente, statiche, obbrobriose. Ovvero, l’opposto del ballo. Sono, piuttosto le figure di bachata che vengono concluse e modificate con parti tecniche di tango, con una sentada, un voleo, un casqué, cercando di mantenere il ballo dinamico, vitale, armonioso e affascinante.

(fonte: www.ballandoballando-ge.it)

15

marzo

Storia del Jive

Il Jive è un ballo latino americano, vivace ed elegante, che spesso viene paragonato al Boogie Woogie. Pur avendo le stesse origini i due balli sono diversi in quanto a stile e leggerezza. Si può dire che il Jive sia una evoluzione del Boogie Woogie, verificatasi in seguito alla trasformazione del Jazz tradizionale in Swing.

Verso la fine dell’800, gli schiavi neri delle piantagioni degli Stati Uniti del sud ballavano una danza nota come Cake Walk. Il ballo era una sorta di parodia; i neri simulavano una passeggiata indossando bei vestiti, imitando gli atteggiamenti tipici dei padroni bianchi. Alla fine della danza, la coppia che era risultata più convincente otteneva una torta come premio (cake) da qui il nome del ballo.

Il 21 maggio 1927, Charles Lindberg portò a termine la fantastica impresa della transvolata dell’Atlantico. L’impresa di Lindberg fu ampiamente celebrata, ma la comunità nera di Harlem la festeggiò in maniera del tutto originale, dedicando un ballo all’evento: il Lindy Hop (il salto di Lindberg).

Il Lindy Hop, ballo movimentato e pieno di energia, derivava chiaramente dal Cake Walk, ed era considerato del genere  Jitteburg ( jitter : nevrastenia). La sua popolarità aumentò tra la comunità nera negli anni a seguire. Successivamente la danza fu ripresa dai bianchi, i quali la modificarono nella tecnica, rendendola un po’ meno dinamica.

A questo punto sembra che dal Lindy si sia sviluppato il Boogie Woogie ed in seguito il Jive. Qualcuno afferma addirittura che il Jive sia lo stesso Boogie Woogie, trasformatosi durante la seconda guerra mondiale, ad opera dei soldati che, lontani da casa, interpretavano il ballo senza saperne le regole. Alla fine della guerra era nato il Jive, ballo ritenuto meno ordinario dagli Europei.

In ogni caso è chiaro che dal Lindy sono derivati Boogie Woogie, Jive, ed in seguito, il Rock ‘n’ Roll acrobatico.

(fonte: www.notizie.it)

10

febbraio

Storia della bachata

 

Dalle sue origini più remote conosciute, all’inizio degli anni venti del secolo XX, il termine bachata designava un tipo di riunione sociale, imparentata con la baldoria dell’epoca, così definito per la presenza di vari generi di musica e balli popolari. Etimológicamente, la parola bachata, secondo Fernando Ortiz, è sinonimo di: divertimento, festa, gazzarra…

La bachata costituiva una forma di “ricreazione popolare”: una festa che si realizzava in qualunque patio, sotto l’ombra di un albero del quartiere, o in un angolo qualunque, ed il cui antecedente possiamo stabilire fu il “fandango”, a proposito del quale “Veloz Maggiolo” dice che: “Quasi tutti i cronisti che parlano di questo tema lo paragonano ad una festività aperta alla gente e non riferita ad un solo tipo di musica.”
Le due menzioni più antiche circa la bachata, che abbiamo trovato in documenti storici, risalgono al 1922 e al 1927. La prima contiene una relazione che si riferisce all’uomo comune del villaggio di Sabaneta, a nordovest dell’isola, e dice che questo trova nel paese “tutto quello che può lusingare i suoi vizi e desideri incontrollati: combattimenti di galli, caramelle e rum; ma quello che più gli piace e lo attrae è la festa, che sia di fisarmonica, o la bachata a suoni di chitarre, canti o boleros. Lì si sta lunghe ore, tra un sorso e l’altro di rum, senza preoccuparsi di niente, né dell’alito asfissiante con che la polvere ed il sudore rarefatto soffocano l’ambiente, né della forma incivile con la quale si passano l’una o l’altra ballerina, fino a che a notte inoltrata si ritorna brilli a casa.”

Nella seconda, Arzeno definiva la bachata come: “animate baldorie” nelle quali il trovatore popolare si faceva re e commentatore di ogni evento usando per ciò il tanto utilizzato bolero, (ritmo soave di genere romantico e di antica origine caraibica).
Da entrambe le menzioni possiamo estrarre alcune caratteristiche della bachata antica: coniugava la musica, il canto e il ballo; il bolero era inizialmente il genere predominante, ma si trattava di un bolero ritmico, antillano, (caraibico), dato che era ballabile, questo significava la compartecipazione di uomini e donne ed il frequente consumo di rum.

Da queste caratterizzazioni si può dire che la bachata era un insieme socio-musicale, dal quale, riunendo ritmi, melodie e strumenti ed adattandoli all’ambiente nativo, nacque posteriormente un modo musicale ed interpretativo di aspetto autoctono che è il genere musicale della bachata.
Precisiamo che in quegli anni si differenziavano i termini festa, ballo e bachata, come segnalava già Reamón Emilio Jiménez nel 1955. Si capiva, comunemente, che le tre erano celebrazioni differenti: si considerava ballo quello che avevano luogo in saloni di lusso, dove prevalevano le danze scelte dell’epoca la cui realizzazione si faceva con l’orchestra; a sua volta, le feste erano le celebrazioni con “güira”, “tambora” e fisarmonica, dove la musica predominante era il “merengue”, il “zapateo”, (suoni prodotti dal ticchettare delle scarpe), ed altri ritmi folcloristici simili; le bachatas erano specificatamente le celebrazioni padroneggiate da chitarre, bongo, “palitos y cucharas”, (bastoncini e cucchiai), ed altri strumenti simili e dove si ballava prevalentemente bolero e guarachas, ma si intonavano anche “son”(cubano) , “rancheras”(messicano) e “merengue” con chitarra. Pacini Hernandez definisce la bachata come una musica popolare, dominicana, autoctona che emerge nel 1961, avendo come basi le musiche latinoamericane suonate con chitarra, come il bolero,le rancheras e il son. Indica, inoltre, che il tipico insieme di bachatas si compone da due chitarre, maracas – sostituite recentemente con la güira – ed il bongo – sostituito occasionalmente con la tumbadora -.

In tale celebrazione gli strumenti erano suonati da musicisti il più delle volte improvvisati e limitati
, i quali imprimevano i ritmi che servivano al ballo e le sfumature proprie di quell’universo marginale. Gli spazi fisici delle bachatas erano principalmente le case marginali urbane o rurali. Nel campo, in una società prevalentemente rurale come quella di allora, poteva essere l’ombra di un albero, e nella città, il parco o il patio di un’abitazione. In quel modo, la bachata si estese lentamente.

Jiménez , come si evidenzia di seguito, detestava tale celebrazione e dice: “Le bachatas erano un faretto di attrazione per tutti gli uomini, che livellavano le diverse classi sociali dei tempi , facendo predominare le forme più grossolane e libere della democrazia ….”. Sullo scenario favorito da quei trabocchi di passioni “peccaminose”, quello che lui chiamava “piacere dissoluto”, era una sala intrisa di forti “essenze” che sembravano “congiurate per sfidare l’onestà e mettere sull’attenti i sensi. Le più vivaci forme di sobborgo stanno lì sfidanti ed audaci”. Ed aggiunge: “La presenza del “sorso”, (di rum), le canzonette “zandunguera” e le ansie provocate per le belle indiane dagli occhi provocanti di notte, maestre nell’arte di imprimere tremori alla loro fresca carne vergine, rompe la tranquillità notturna del quartiere per cedere spazio all’azione di “bachatear” o fare baldoria”.

Il nome designava, dunque, più che un tipo di musica, un ambiente sociale di vicinato o di quartiere, definito così essenzialmente per la presenza del ballo ed un insieme di musiche popolari. Quel divertimento “coniugava musica, ballo, relazioni amorose, corteggiamenti, amicizie, alcolismo ed molti altri atteggiamenti”
La musica prima era solo eterogenea, ma la linea tematica essenziale delle sue canzoni, secondo Jiménez, era dal principio di tipo tragico-malinconico; metteva a fuoco il tradimento amoroso, il disprezzo, ricordi di ieri, gli ostacoli alla felicità, la fatica economica; in altre parole, aveva un testo narrativo e descrittivo, con frasi figurate molte volte cariche di doppio senso.

Per la sua origine sociale e la sua tematica, dal principio apparvero settori affezionati alla bachata casi di lavoratrici domestiche, guardie, contadini, operai e tanti altri. Si può segnalare che in questi gruppi sociali, “la musica è sintesi di cento anni di vissuto nella marginalità”
In relazione ad essi fu che sorsero distinte denominazioni per la bachata, con senso spregiativo ,tali denominazioni furono: “musica de guardia”, “canciones de amargue”, o “discos di vellonera”. In generale, questo non era altro che voler evidenziare l’aspetto dispregiativo predominante nella società formale circa il popolo marginale, il che implicava il merengue e la bachata tanto quanto altre musiche popolari, e quasi tutte le attività delle classi popolari: musica, arte, ricreazione. A tutte questi manifestazioni considerate “basse” per le loro origini sociali plebee, immorali, indecenti, impure, peccaminose, queste nozioni puritane della cosa sociale, la cosa morale e la cosa culturale, derivano da interessi della classe dominante per dimostrare la loro superiorità.

A partire dagli anni trenta, il tipo di celebrazione che era la bachata si estende fino ai bar, alle case di appuntamento, e vari posti simili. Nel Santo Domingo dell’epoca posteriore al ciclone di San Zenone (1930), si ricorda il posto denominato “El Yarey” situato nel quartiere di Villa Francisca, periferico alla città di allora.

In “Santiago de los Caballeros” era famoso il : “Callejon De La Allegria”, luogo dove per la prima volta si usò il sassofono nei Caraibi all’inizio del secolo XX nell’orchestra ” Perico Ripiao” – che esegue il merengue tipico dominicano -, e li’ dove, anche, il son cubano fece il suo rientro in Repubblica Dominicana (circa il 1930).

I gruppi che suonavano le bachatas erano chiamati “conjuntos de bachatas”. Le nostre indagini indicano che il genere musicale denominato bachata nacque come risultato di una lenta evoluzione della musica interpretata nella tipologia di riunione sociale che quel nome designava, e che i suoi creatori anonimi furono i gruppi che la suonavano. Ricordo che i ritmi che predominavano in quei tempi erano: il bolero ritmico, la guaracha e il son, abbastanza estesi nelle Antille dopo la prima guerra mondiale e con gran risalita, soprattutto del primo, dopo la seconda guerra mondiale.
Mentre, da un lato, Juan Luis Guerra riconosce nella bachata “un bolero antillano”, altri osservano anche l’influenza della guaracha e del son; negli anni ottanta si mise in evidenza l’esistenza di due versanti ritmici della bachata, una tranquilla e l’altra accelerata.

La nostra ipotesi al riguardo è che i primi bachateros crearono una forma propria ed accelerata di bolero, con testi simili a quelli dei boleros ed una maniera nasale di cantare, con una voce di risonanze nasali, e con cori di dolore ed amarezza, di lì il soprannome di “musica de amargue” che gli si attribuì per molto tempo. La forma musicale della bachata riflessa il predominio del bolero tropicale che è più accelerato del tradizionale spagnolo, era interpretata da alcuni musicisti generalmente empirici. A queste forme di canto e musica fu aggregato un cambiamento di coreografia del ballo, includendo un’elevazione dei piedi alla fine di ogni ciclo dei movimenti del ballo, col quale rimase conformato il genere come un ente musicale e danzario autonomo, negli anni sessanta del secolo XX.

È probabile che gli antichi “conjuntos de bachatas”, nelle loro interpretazioni del bolero, della guaracha e del son, cercassero di far passare le proprie limitazioni dovute ad una debole preparazione musicale, come regole. Probabilmente questo portò a semplificare questi ritmi, dando origine ad una nuova forma di musicalizzazione ed interpretazione che adottò il nome dell’attività che designava la bachata col il passare del tempo.

Alla caduta di Trujillo, (governo), l’inclinazione per la guaracha era tale che quell’influenza subito trovò un’espressione massiccia in un canale tanto idoneo come la radio, in una società pre-moderna come la dominicana di allora. Li’ nacque ” La Guarachita”, stazione radio specializzata in quella musica, ed il cui nome derivò dall’inclinazione popolare verso quel ritmo. Questo nome, e quello di “musica de amargue” per molto tempo si disputarono la denominazione del nuovo genere, benché nei lustri recenti il nome di bachata sia diventato indisputabile.
Il nome cambiò dal tipo di attività che designava, al gruppo musicale che lo suonava, e finalmente al tipo di musica che predominò in quel tempo che non era più né bolero, né guaracha, né son, bensì qualcosa di nuovo, distinto.

Bene, risulta importante stabilire dove e quando si produce il passo finale verso la costituzione della bachata come specie musicale autonoma. Sappiamo che la cosa difficoltosa risulta essere lo stabilirlo con precisione, principalmente se prendiamo in considerazione che l’evoluzione fu spontanea ed anonima. In sintesi, in base ai dati che ho potuto raccogliere, lancio l’ipotesi che il passo definitivo si produsse nell’ambito “urbano”, contrario all’idea che la sua origine fu rurale.

In altre parole, benché il termine bachata designasse nelle sue origini un’attività di preminenza rurale, perché si inserisce in una società rurale, il genere musicale bachata che risultò dall’evoluzione di quella, è di origine urbana, prodotto di un movimento di trasferimento che convertii alle città l’epicentro delle attività. Lo spazio urbano, in paragone ai campi e per ragioni culturali, era più propenso a favorire l’evoluzione dei modelli culturali. Questo non deve stupirci se prendiamo in considerazione l’esplosione demografica ed il brusco processo di urbanizzazione dagli anni cinquanta, prodotto di un’accelerata migrazione rurale-urbana della popolazione dominicana.

Allo stesso modo, i nostri dati indicano che quello avvenne tra 1950 e il 1965. Come vedemmo già, dagli anni venti le zone popolari delle città conoscevano celebrazioni di bachatas. Prima menzioniamo Sabaneta, nel nordovest, e poi El Yarey nel settore di Villa Francisca, in Santo Domingo. Negli anni trenta, in Santiago de los Caballeros, dove abbiamo gia’ menzionato El Callejon de la Alegria, nel quale si fecero conoscere musicisti “bachateros” come: Ramón Wagner , (Mon La Bruja), e il “Conjunto de la Mulateria”, dove suonavano Jim Sánchez e Moro Sánchez, tra tanti. In quegli anni raggiunsero popolarità nel paese i gruppi cubani come: “Los Compadres”, “El Sexteto Avanero” e “El Trio Matamoros”, il quale si trovava in Santo Domingo nell’ agosto del 1930, dove vissero il dramma del passaggio del ciclone San Zenon, il quale diede origine al brano “Il Ciclone”.

Altri indizi apparvero nel settore di Borojol, in Santo Domingo, dopo la seconda guerra mondiale. Sara Pérez raccolse l’attestazione di Pedro María, un musicista bachatero degli anni cinquanta che arrivò in quel quartiere all’inizio di quel decennio, e prese parte alle celebrazioni di bachatas, nelle quali, dice: “suonavano con tutto, perfino, a volte, bastava il tocco di due cucchiai”, (il quale può risultare un po’esagerato). Questa fu l’epoca in cui scrisse le sue opinioni anche Ramón Emilio Jiménez, menzionando il nome di bachata come attività.

Bene, lo stesso Jiménez descrive gli strumenti che si usavano allora nelle celebrazioni: chitarra, bongo e i bastoncini (palitos) o clave. Questi sono gli stessi con i quali nacque musicalmente la bachata. Quel dato, benché non sia una garanzia che il ritmo sia sorto allora, tuttavia, segnala un avvicinamento all’origini di questa. indica che la strumentazione basilare già era stabilita. La trasformazione sembra succedere da allora, e prima della guerra patriottica del 1965, come sintesi di varie confluenze.

(fonte: www.mbdancepassion.it)

25

gennaio

Danza in fiera 23/26 Febbraio 2012 FIRENZE Fortezza da Basso

Un evento unico e straordinario

Danzainfiera è l’evento che per quattro giorni riunisce tutte le anime del mondo della danza e del ballo, in un mix unico e inconfondibile, che coinvolge tutti i generi e gli stili: dal classico al contemporaneo, dal modern al tango, dall’hip hop al latino, dal country al musical, dalle danze etniche al valzer, dal burlesque al pilates, una disciplina perfetta per la preparazione alla danza.

Cosa trovano a Danzainfiera i visitatori?

 

• Centinaia di stand dei migliori prodotti per la danza, lo sport e il benessere, ma anche aree dedicate a scuole, compagnie e associazioni
• Centinaia di spettacoli, show ed esibizioni con grandi ballerini e compagnie nazionali e internazionali
• Centinaia di lezioni gratuite aperte a tutti con importanti maestri
• Tantissimi convegni, workshop e mostre per parlare di danza a 360°
• Decine di incontri e talk show con personaggi famosi
• Decine di gare e concorsi, per vivere l’evento da protagonisti
• Decine di audizioni e casting, per entrare nel mondo della danza

20

gennaio

Storia del cha cha cha

E’ opportuno precisare che l’adozione relativamente recente (1951) dell’espressione ‘cha cha cha’ non significa che la data di nascita della danza sia la stessa della sua denominazione ufficiale: i movimenti di base, quantunque non precisamente codificati, potevano già esistere prima che si arrivasse alla formalizzazione musicale di questo nuovo genere. Per la maggior parte degli studiosi, le origini delle movenze di CHA CHA sono collocabili a Cuba all’inizio del 1900, nel periodo in cui si svilupparono son, danzòn, rumba e mambo. Sul significato della espressione CHA CHA CHA ci sono diverse ipotesi:

La voce cha cha cha è una onomatopea:

Sta ad indicare il ritmo specifico del ballo. In pratica rappresenta il suono di uno strumento di accompagnamento (qualunque esso sia stato) che all’origine ne segnava la cadenza (base ritmica).
Riproduce il suono ritmico delle scarpe sul pavimento nella esecuzione del triplo passo. Questa ipotesi ci fa pensare ad una danza eseguita non all’aperto, su pavimenti sconnessi, ma in locali con pavimenti levigati.
Lo chassè è una figura che richiede il pattinamento veloce dei piedi; pertanto vuole una superficie liscia e non, ad esempio, di terra battuta o coperta a prato (vedi ipotesi 3).
CHA CHA è anche il nome di un sonaglio costruito col baccello di alcune piante. Nei balli di gruppo, nelle danze propiziatorie e nelle manifestazioni religiose con accompagnamento di musiche e canti, le guide che avevano compiti di coordinamento usavano tale sonaglio per scandire il tempo e per segnalare la fine delle pause. Anche in tal caso si può tirare in ballo il discorso della onomatopea, in questo senso: il sonaglio veniva agitato sul motivo/ritmo CHA CHA + pausa.

Enrique Jorrin adottò l’espressione cha cha cha nel 1951 (dopo averlo precedentemente chiamato ‘mambo-rumba’). Egli, per definire in modo univoco una danza che andava assumendo precisi connotati rispetto a danzòn, rumba e mambo, scelse una denominazione che faceva direttamente riferimento alla triplice marcatura della base ritmica da parte dei danzatori. In realtà, Jorrin non aveva inventato niente: era un attento osservatore di ciò che succedeva in pista, oltre ad essere un bravissimo arrangiatore di mambo e danzòn. Mentre, ad una festa (al chiuso?), eseguiva un mambo, notò che alcuni ballerini non effettuavano la pausa sul battito slow, ma continuavano a muovere i piedi in chassè. Magari non erano ballerini provetti, ma semplici improvvisatori. Sta di fatto che eseguivano un movimento significativo dal punto di vista coreico. Tanto è vero che Jorrin ne fu positivamente colpito. Si deve, a tale proposito, solo aggiungere, che all’epoca si ballava per imitazione; per cui è ipotizzabile che quel triplo passo che Jorrin vedeva per la prima volta fosse già largamente usato al di fuori delle conoscenze ufficiali.

Molti studiosi considerano questo ballo una derivazione del mambo, anzi una sua riproposizione in chiave moderata. Altri affermano che esso derivi direttamente dal danzòn. E’ interessante soffermarsi a riflettere proprio sulla prima denominazione inventata da Enrique Jorrin. Egli fu, in assoluto, il primo musicista a costruire l’impalcatura ritmica del cha cha cha, formalizzandolo musicalmente. Ma quando si trovò di fronte al problema di trovare un nome, non riuscì a far di meglio che chiamarlo ‘mambo_rumba’.
Il motivo di questa sua scelta sta nel fatto che egli percepiva non tanto o non ancora un genere autonomo e del tutto originale, ma un miscuglio, sia pure riuscito, di ritmi e sonorità preesistenti nelle danze caraibiche e latino-americane. Jorrin era realmente convinto che la semplice amalgamazione di elementi di rumba e di elementi di mambo non portasse oltre quanto già visto negli ambiti separati di rumba e di mambo, appunto. In realtà, ciò avveniva solo perchè mambo, rumba e danzòn erano danze e generi musicali già consolidati, mentre il cha cha non esisteva autonomamente.

Ma Enrique Jorrin era un grande compositore: credette fino in fondo di poter inventare un nuovo ritmo, usando ingredienti familiari e domestici. E lo fece alla grande: perchè il cha cha, a partire da lui, è diventato uno dei più famosi generi musicali e dei più grandi balli di tutti i tempi. Il cha cha cha si diffuse sia come musica che come ballo a partire dal 1950.

Negli USA era quasi una moda nel 1953, grazie a orchestre importantissime come Orquesta America e grazie a grandi musicisti come Tito Puente, Xavier Cugat e Perez Prado. Si formarono orchestre e gruppi specializzati con un alto numero di componenti, addirittura fino a quindici. La base ritmica lenta incoraggiava anche la formazione di gruppi vocali: molte furono le canzoni scritte su musiche di cha cha cha.
Nel 1954 Enrique Jorrin portò in Messico questo nuovo genere musicale: riscosse un successo enorme. Ebbe tantissime richieste, dai locali, dalla radio, dalla televisione; al punto tale che per diversi anni lavorò con la sua orchestra esclusivamente nel Messico. Nei primi anni ’50 il cha cha cha si diffuse in quasi tutta l’America Meridionale, mentre a Cuba esplodeva con la forza di una moda irresistibile.
In Europa questo ballo è arrivato nel 1954. In Italia è entrato nel 1958, senza però ottenere immediatamente un grande successo. Gli osservatori dell’epoca registrarono tiepide reazioni, sia da parte dei ballerini che da parte delle masse.

Negli anni 1959-60, mentre in America e in Inghilterra era un ballo affermato con un vasto seguito di appassionati, in Italia rimaneva nell’ombra. All’improvviso, nel 1961, ebbe un inaspettato exploit grazie ad una soubrette all’epoca famosa, Abbe Lane (compagna di Xavier Cugat), che, attraverso il piccolo schermo, fece innamorare gli italiani: delle sue curve e contemporaneamente del cha cha cha. Da quel momento si è stabilizzato nelle abitudini e nelle preferenze del nostro popolo.

(fonte: www.mbdancepassion.it)

15

gennaio

Storia del mambo

Mambo è il nome di una divinità cubana che è stata identificata nel dio della guerra. In onore di questa divinità si eseguivano danze all’aperto probabilmente solo maschili e comunque, per il loro carattere rituale, comandate da combattenti e capi tribù. Che il termine mambo rappresentasse precisamente questi balli o qualcuno di essi, non è scontato. Secondo alcuni studiosi il lemma mambo è stato usato a lungo per definire non tanto una tipologia di danze, ma tutta la musica di ispirazione religiosa, propria delle pratiche Voodoo, che faceva da base alle danze stesse. Tale musica serviva a mettere in contatto danzatori e divinità. Mambo significherebbe, in tal caso, canale di comunicazione con gli dei.
Secondo alcuni musicologi mambos equivale a ‘sacerdotesse’. Qualcuno arriva a tradurre mambo in: ‘colei che parla col Dio’. In entrambi questi due casi è evidenziata la centralità della funzione femminile negli affari di culto.
Le ipotesi attualmente più accreditate sono due:

Il termine appartiene al linguaggio rituale voodoo di Haiti (il mambo è quella particolare musica religiosa che consente, attraverso la danza, di conversare con le divinità);

Il termine appartiene ad un antico dialetto cubano denominato nanigo (mambo è usato per identificare sia la musica che il relativo ballo).

Una cosa è certa: col passare del tempo, il termine mambo identificò inequivocabilmente un particolare modo di ballare, riferito specificamente al folklore popolare cubano. La danza perse il rigore formale delle grandi occasioni religiose e dei momenti drammatici legati, un tempo, a rituali di combattimento. Si presentava piuttosto come un contenitore ricco di spunti presi dal son e dal danzòn, miscelati su ritmi frenetici. Ne scaturiva un ballo nuovo e non completamente definito. Fu proprio la struttura flessibile della danza che ne consentì l’arricchimento successivo, attraverso l’assimilazione di elementi africani e di motivi appartenenti alla cultura jazz.

Il mambo è nato dalla voglia degli schiavi di ‘scatenarsi’ nel vero senso della parola: una volta liberi dalle catene, essi inventarono il più frenetico dei balli, dopo anni di costrizioni, durante i quali dovettero ripiegare su danze “statiche” quali rumba e merengue. La teoria e l’ipotesi di Hjuelos sono affascinanti: nelle vene degli schiavi africani costretti a lavorare, incatenati, nei campi di canna da zucchero scorrevano sangue e musica. Con le catene ai piedi inventarono:

il merengue, il cui passo fondamentale consisteva nel trasferire il peso del corpo da un piede all’altro, anche restando allo stesso posto.

La rumba, che nella sua originaria impostazione si basava unicamente sui movimenti di oscillazione dei fianchi.
Quando finalmente si liberarono delle catene, inventarono il mambo.
Attorno al 1940 si può collocare la nascita del ballo con quelle caratteristiche che ancora oggi lo rendono unico ed attuale.

A determinare la struttura del ballo sono stati due fattori concomitanti:

•    l’ evoluzione degli strumenti musicali;
•    l’introduzione di motivi sincopati nella parte finale del danzòn.

Maracas, bongo, tamburo e guiro, uniti alla tromba (che è lo strumento tipico del jazz), hanno dato, sul piano stilistico, la migliore soluzione possibile al discorso percussioni. I ritmi travolgenti della tradizione latino-americana sono stati riproposti in chiave moderna, con grande efficacia timbrica, melodica e musicale.
Per quanto riguarda la tecnica di esecuzione di tale danza, a livello mondiale sono state elaborate decine di figure di base che, in pratica, consentono di partire in ogni direzione e con qualsiasi piede. Diverse generazioni di maestri e di coreografi hanno dedicato molto del loro tempo e tutta la loro bravura ad arricchire il mambo: sono state create centinaia di figure che consentono alla coppia di ballare sul posto o di spostarsi lungo le quattro pareti della pista, con amalgamazioni sempre diverse.
Per quanto riguarda la struttura musicale del mambo e i relativi riflessi sulla tecnica di ballo, mi limito a ricordare due cose:

Secondo la Scuola americana (New York Style) il cui massimo teorizzatore è il portoricano Eddie Torres, il mambo si balla sulla clave 2/3. Sull’1 musicale c’è la ‘marcatura’ da fermi. Il primo passo è effettuato dai ballerini sul secondo battito. (Secondo molti, se il cavaliere parte andando indietro è anche più bello).

In Italia siamo abituati a ballare la sequenza quick, quick, slow sul tempo di 4/4, col classico conteggio 2, 3, 4-1.
Quando avviene la prima formalizzazione del mambo come genere a se stante?
“Il primissimo esempio lo si può far risalire al violoncellista cubano Oreste Lopez che nel 1938 compone un danzòn, ballo molto vicino alla rumba, che battezza “Mambo”. Questo danzòn aveva di nuovo e di diverso un motivo marcatamente sincopato.

Altra ipotesi, abbastanza diffusa, è quella che vede nel compositore Arsenio Rodriguez (appartenente all’orchestra di Antonio Arcagno) il vero inventore del primissimo mambo. Egli combinò elementi presi dal son delle origini alle musiche religiose cubane di derivazione Voodoo, e creò un ‘danzòn en nuevo ritmo’, subito dopo denominato mambo. (Naturalmente, era un esperimento).
I suddetti esperimenti potevano rimanere tali per sempre; ma non fu così. L’introduzione della sincope contribuiva a creare un ritmo originale e visibilmente coinvolgente. Molti musicisti e arrangiatori si cimentarono in analoghi tentativi. Lo stesso direttore d’orchestra Antonio Arcagno (o Arcano) decise di supportare il nuovo ritmo con il pianoforte: l’effetto fu esaltante. Nell’ascoltare e provare tale ritmo, Perez Prado intuì che poteva nascerne un nuovo genere, ben oltre il danzòn, con ben altre prospettive. Come del resto avvenne. Sul piano coreico, lo sganciamento dal son avvenne sulla figura fondamentale, che si può considerare di base. Il son aveva un ritmo più lento del mambo: esso si ballava con movimenti orizzontali (verso destra e verso sinistra). Con l’accelerazione del ritmo che segnava l’evoluzione verso il mambo, non era possibile mantenere la direzione orizzontale della figura senza perdere in termini di armonia ed equilibrio. Per questo motivo i ballerini inventarono per il mambo il passo verticale (avanti e dietro).

Fortuna del Mambo

Il mambo diventò internazionale alla fine della seconda guerra mondiale. La diffusione, nel mondo, della musica del mambo e della relativa danza è dovuta Celia Cruz (interprete di Guantanamera), a Frank Grillo, a Xavier Cugat e a Abbe Lane. Alla fine degli anni Quaranta furono molti i musicisti e i gruppi cubani che cercarono, e trovarono, fortuna in giro per le Americhe. Tito Puente ne è uno dei massimi rappresentanti, assieme al suo compatriota portoricano Tito Rodriguez. Come suscitò interessi e passione nelle masse giovanili e nel pubblico più aperto mentalmente, parimenti, il mambo incontrò ostilità, preconcetti e divieti da parte delle autorità religiose e civili. In Messico e nel Sud America le figure di danza del mambo furono giudicate oscene dalla classe aristocratica e dalla Chiesa. Ma a nulla poterono le critiche, le condanne e i boicottaggi: il mambo aveva la forza di un ciclone, e come tale, spazzò via ogni ostacolo. Il padre del mambo è il musicista cubano Darnase Perez Prado, nato a Matanzas il 1922, pianista, compositore e direttore d’orchestra. Questi esordì a L’Avana con l’Orchestra del Casinò de la Playa, puntando ad un mambo supportato dalla più ricca strumentazione possibile a quel tempo.
A trentadue anni andò a Città del Messico, dove riscosse un grande successo, rivoluzionando le abitudini musicali (ed etiche) di tutta la nazione. Espulso perchè non in regola con le leggi che ordinavano il fenomeno della immigrazione, si trasferì a New York, dove in breve tempo fu incoronato “Re del mambo” (Cherry Pink, Que rico el mambo, Mambo n. 5). In America già esistevano locali dove andavano di moda i ritmi latini (Plaza Ballroom, Palladium); ma le folle non andavano in delirio. Quando arrivò il mambo, scoppiò una vera e propria febbre per tale ballo. Fu tale il successo musicale, che l’industria cinematografica ci volle mettere le mani. Ed infatti riuscì a sfruttare sapientemente l’appeal ritmico e psicologico che aveva sui giovani, e la portata di dichiarata sensualità che coinvolgeva un pubblico vastissimo e variegato. In molti films prodotti nel periodo 1949-1977 lo stesso Prado fu scritturato come attore. In Italia, la nostra cinematografia ha prodotto il famoso film MAMBO (con Silvana Mangano); mentre il pubblico ha accolto con larga partecipazione i più recenti films DIRTY DANCING e THE MAMBO KINGS (interpretato da Antonio Banderas).

“L’innovazione musicale del mambo, come ha avuto modo di raccontare lo stesso Prado, è stata quella di far suonare gli strumenti a percussione in sincrono con il pianoforte e i fiati, su accordi con scansioni ritmiche completamente diverse da quelle che si usavano” precedentemente. Ed infatti, già in Messico, Perez Prado aveva inserito nella sua orchestra l’organo, creando non poco stupore, in quanto tale strumento era estraneo alla musica leggera. Il mambo, dopo avere conquistato i giovani americani col suo ritmo incalzante, fu portato in Europa dove fu accolto con entusiasmo dalle nostre popolazioni. La briosità della danza e della relativa musica ben si adattavano al clima di rinascita e alla voglia di ricostruzione che fermentavano nei paesi occidentali, da pochi anni usciti dalla seconda guerra mondiale.
Anche quando il boom come genere musicale ha cominciato a declinare, a metà degli anni Sessanta, il mambo-ballo ha continuato ad avere una sua storia ed un suo posto preciso nel panorama della danza sportiva.
Il mambo è cubano perchè a Cuba esso è stato concepito, e perchè Perez Darnase Prado è cubano. Il Tropicana Night dell’Avana è stato il primo locale in senso assoluto in cui il mambo, appena nato, fu presentato nel 1943, mentre tutto il mondo era immerso nella guerra. Ma il mambo era, appunto, appena nato. Doveva crescere e diventare grande.
Il mambo è americano perchè negli USA è diventato grande. Il Palladium Ballroom, la più grande sala esistente al mondo, a quei tempi, fece del mambo di Perez Darnase Prado la danza più bella e più amata di tutti i tempi.

(fonte: www.mbdancepassion.it)

11

gennaio

Storia della rumba

Il nome “rumba” deriva dal termine “mujeres de rumbo” con cui si definiva una particolare forma di prostituzione fatta in alcuni locali da ballo dove gli uomini si recavano per ballare e dormire; da ”rumba” deriva poi il termine “rumbear” che significa: ballare, fare festa.

La rumba è nata nelle aree urbane dell’Havana e di Matanzas popolate dagli africani fuggiti dalle campagne, in cerca di un lavoro e di miglior fortuna, dopo l’abolizione della schiavitù nel 1866. La rumba è una danza che esprime un inno alla vitalità, alla fertilità e al sesso (soprattutto il guaguancò) e per questo all’inizio, come tante manifestazioni della cultura africana, era malvista e proibita dalla “bianca” società borghese.

All’inizio i suonatori di rumba erano persone estremamente povere e quindi non possedevano veri e propri strumenti musicali, per suonare utilizzavano la clave, i mobili di casa, gli utensili da lavoro e i “Cajones” cioè le casse vuote con cui veniva importato il baccalà, che diedero origine al nome “rumba de Cajon”. In seguito, con il passar del tempo, per suonare le percussioni della rumba si iniziarono ad utilizzare i tamburi di origine africana che generalmente erano tre: tumba, llamador e quinto.

La rumba si può dividere in tre fasi: la prima è l’introduzione chiamata anche “esposizione”, la seconda è la parte centrale “il coro” dove viene presentato il tema che da il motivo alla rumba ed infine la parte finale denominata “rompe la rumba” dove entrano in maniera preponderante le percussioni e il cantante alterna le sue improvvisazioni con il ritornello del coro.

Esistono molte varianti di rumba tra le quali sussistono anche rivalità per la supremazia di una rispetto all’altra in questo genere. I tre principali tipi di rumba sono: la “Columbia”,lo “Yambù” e il “Guaguancò”.

La Columbia deve il suo nome ad un antico casale di Matanzas, chiamato appunto “Columbia”, dove si pensa che abbia avuto origine questo tipo di rumba. La Columbia ha un ritmo molto elevato ed è ballata solo dagli uomini; i ballerini sono molto agili e hanno una completa padronanza del proprio corpo in quanto eseguono virtuosismi, passi acrobatici e molti giri complicati che imitano i gesti appartenenti al lavoro, allo sport e al modo di camminare, è una vera e propria “sfida” tra il ballerino e il quinto cioè il tamburo di origine africana che scandisce il ritmo di questa rumba.

Lo Yambù al contrario ha un ritmo molto più pacato, i ballerini eseguono i gesti tipici della vecchiaia e sono completamente assenti i movimenti pelvici possessivi; quando l’uomo vuole sedurre la donna lancia un fazzoletto verso il terreno per poi raccoglierlo con la bocca. Questo tipo di rumba attualmente è praticato principalmente da ballerini o corpi di ballo professionisti.

Il Guaguancò è il tipo di rumba che ha raggiunto la maggiore diffusione anche al di fori di Cuba; è un ballo carico d’erotismo, ogni movimento, anche il più banale, può servire per sedurre e conquistare la donna. Durante il ballo l’uomo cerca di possedere in senso figurato la donna e questo diventa il motivo dominante della danza, nasce così un gioco amoroso tra l’uomo e la donna. L’uomo mima con movimenti pelvici possessivi la cosiddetta “vaccinazione”  ,il “vacunao”, che deriva dal verbo “vacunar” (vaccinare) che ha un chiaro riferimento sessuale; la donna reagisce coprendosi e dando l’impressione di proteggersi il sesso, “se tapa”, ma contemporaneamente stuzzica l’uomo con movimenti sensuali per invitarlo a proseguire nel suo corteggiamento e nei suoi “tentativi”.

By Marco Giovannini

(fonte: www.pianetalatino.it)

 

9

gennaio

Tecnica della beguine

Si tratta di una tecnica semplice ed intuitiva: si ballano i primi tre battiti, effettuando una pausa sul quarto. Il tempo è: quick, quick, slow. Il peso del corpo cade di volta in volta sul piede che si muove e la pausa  si effettua sul piede che ha eseguito il terzo passo (slow). Molto più facile rispetto alla tecnica della rumba dove il passaggio 4/1 equivalente a due battiti avviene sullo stesso piede. Un battito senza peso del corpo ed un battito col peso. O, come suggerisce il Maestro Walter Laird, mezzo battito senza peso e un battito e mezzo per il trasferimento del peso.

Con una tecnica del genere è possibile ballare decine e decine di figure: stando sul posto, camminando lungo la pista, girando, stando vicini e stando lontani. Nella sezione CHE FIGURA (vedi link a sinistra) propongo, in aggiunta ad un elenco di nomi italiani di figure di BEGUINE, una figura fondamentale che chiamo QUADRATO. Propongo una partenza per il cavaliere di piede sinistro. E’ solo una  ipotesi di partenza: i partners si possono mettere d’accordo come vogliono, in quanto, dopo il terzo passo si parte col piede opposto a quello che ha effettuato il primo passo. Nel citato libro Codice della danza e del ballo è riportata una interessante  interpretazione dei Maestri Di Liberto_Albeggiani. Essi descrivono due figure:

PASSO TIPO (4 tempi):

il cavaliere porta il piede destro lateralmente a destra

unisce il piede sinistro al destro

porta il destro in avanti

strofina la punta del piede sinistro a terra e il ginocchio sinistro contro il destro

riparte col piede sinistro

IL QUADRATO (8 tempi: 2 misure):

Il cavaliere parte con il piede destro: la figura è identica a quella da me proposta; la tecnica è la stessa.

Proviamo a prendere alcune figure significative della rumba e ad eseguirle con questa tecnica, mettendo per base musicale un brano a caso: Sacrifice di Elton John. Saremo sorpresi da due cose:

funziona

è bello

 

(fonte: www.superballo.it)

8

gennaio

Storia della beguine

 

Ballo un tempo prestigioso, oggi caduto in ‘disgrazia’ . La sua classificazione come danza sociale da parte dei produttori italiani di CD musicali è dovuta al fatto che essa si ballava una volta nelle nostre balere, assieme a mazurka girata, polka sul posto, ecc. Questo insieme di balli prende la denominazione di Ballo Sociale o Danza di Società. Oggi la beguine non ha alcuna collocazione all’interno delle discipline ufficiali.

La Beguine è un ballo di coppia che non ha nulla da invidiare alle danze ufficiali da competizione. Ciò nonostante, è sparita dai libri italiani di recente pubblicazione e dall’elenco dei balli riconosciuti. Per fortuna ne troviamo riferimenti precisi nei manuali scritti qualche decina di anni fa. ( vedere: Maestri Pietro Mormino e Piero Di Liberto: Codice della danza e del ballo, Palermo, Domino Editore, 1955).

In Europa è snobbata proprio come ballo. In Ialia sopravvive… clandestinamente. Negli USA la chiamano con un altro nome. Rientra, sotto il nome di Rumba, nei cinque balli Rythm di Stile Americano (USA), mentre la nostra Rumba (quella della disciplina Danze Latino-americane)  è dagli Americani denominata Bolero. Ciò è dovuto al fatto che in USA si è mantenuta in piedi la distinzione fra rumba lenta (Bolero) e rumba veloce (Beguine).

In Italia la Beguine è molto diffusa nelle sale. Ho avuto modo di constatare che molte coppie ballano regolarmente la beguine:

al posto della rumba

su basi musicali suonate oltre le 28 battute per minuto

su tutta una serie di brani famosi non ballabili diversamente

utilizzando molte figure di rumba

utilizzando figure originali rispetto alla rumba

utilizzando una tecnica di ballo che chiameremo appunto la tecnica della beguine

 

 

                                                                       Questione beguine

Ufficialmente la beguine non esiste. Non fa parte delle Danze Latino_americane; non fa parte del Ballo da sala. La Beguine è morta. A leggere i manuali, dove della beguine manca persino un lontano ricordo, si deve concludere che questo ballo, un tempo prestigioso quanto o più della rumba, è scomparso definitivamente. Per rintracciarne l’attualità nel panorama mondiale si deve fare riferimento al pragmatismo americano. Si deve cioè capire come stanno le cose negli USA e valutarle con un metodo bizantino.

Nei cinque balli Rythm di Stile Americano (USA) troviamo il Bolero e la Rumba:

il Bolero è ballato sui ritmi lenti tipici della Rumba che noi conosciamo come appartenente alla disciplina DANZE LATINO_AMERICANE (27/29 battute al minuto).

La Rumba è ballata su ritmi più veloci e viene definita rumba-beguine.

Possiamo ritenere che gli Americani abbiano voluto mantenere in piedi una distinzione sostanziale tra rumba lenta e rumba veloce, usando il termine bolero per definire la versione lenta e denominando rumba-beguine la versione più veloce. L’impostazione americana, al di là dei nomi, è molto corretta, sia storicamente che musicalmente, in quanto prende atto del fatto che si tratta di due ritmi diversi fra di loro.

Non dobbiamo dimenticare che la beguine è la rivisitazione in chiave moderata, operata in Martinica, della rumba cubana, nata come ritmo abbastanza veloce. Non a caso dopo il 1930 rumba e beguine fecero la loro contemporanea apparizione nelle sale da ballo, in concorrenza fra di loro, presentandosi con le seguenti caratteristiche: vivace la prima, moderata la seconda. Per molto tempo si è poi usata l’espressione Rumba cubana per definire una rumba suonata oltre le 30 battute al minuto, fino a 40; e si è adoperato il termine beguine per indicare un preciso tempo moderato della musica da ballo.

Come spiegato nella sezione STORIE…  DI BALLI, alla pagina RUMBA & BEGUINE, la rumba nacque come danza di corteggiamento: il ritmo era talmente veloce che il ballo consisteva in una successione rapida di movimenti del corpo e soprattutto dei fianchi. L’azione dei piedi era minima: prevalevano i gesti e le espressioni del volto. Fu proprio la beguine, con l’attenuazione del ritmo, ad introdurre numerose figure sul posto e camminate. Di tali figure di impossessò successivamente la rumba che, per entrare nelle sale, dovette europeizzarsi.

Sul piano puramente teorico è sufficiente precisare un unico concetto per dare un contributo alla chiarezza:

Indipendentemente dai nomi, esistono due ritmi del filone rumba-beguine: il più veloce ed il più lento. In pratica abbiamo due danze che differiscono fra di loro. Di conseguenza sono necessarie due tecniche di ballo.

Nel nostro paese la situazione  è la seguente:

La beguine, bandita dai manuali e dalle Scuole, continua ad essere presente nelle sale da ballo. Essa è praticata molto più di quanto si possa immaginare ed è ballata sia consapevolmente che inconsapevolmente. Sulle copertine dei CD professionali è generalmente classificata come danza sociale per il semplice fatto che non si riesce a trovarle una diversa collocazione. Ed infatti non sarebbe corretto inserirla fra i balli ufficiali delle discipline codificate. Ma resta il fatto che essa è un ballo di coppia a tutti gli effetti.

In Italia vengono continuamente proposti (e riproposti) brani di beguine da parte di arrangiatori, musicisti, orchestre e produttori di CD. Ciò dimostra almeno due cose:

Che questo ballo gode di forte simpatia da parte del pubblico.

Che i musicisti sanno ben cogliere ed interpretare i gusti del popolo delle balere.

Fra i motivi per i quali la beguine continua ad avere una sua vita ed un suo spazio, a dispetto dei ‘libri di testo’, quello principale è dovuto alla semplicità di esecuzione. Il riferimento, naturalmente, è alla massa di ballerini non professionisti e non competitori: a quelli che ballano per divertirsi. Senza escludere molti allievi di scuole di ballo che, pur conoscendo in teoria la tecnica della rumba, eseguono in realtà la tecnica della beguine.

Si tratta di una tecnica semplice ed intuitiva: si ballano i primi tre battiti effettuando una pausa sul quarto. Il peso del corpo cade di volta in volta sul piede che si muove e la pausa si effettua sul piede che ha eseguito il terzo passo. Molto più facile rispetto alla tecnica della rumba dove il passaggio 4/1 equivalente a due battiti avviene sullo stesso piede. Un battito senza peso del corpo ed un battito col peso. O, come suggerisce il Maestro Walter Laird, mezzo battito senza peso e un battito e mezzo per il trasferimento del peso.

Vedo sulle piste più di qualcuno che, senza nemmeno rendersene conto, interpreta regolarmente un brano di rumba con i passi della beguine. Per questo motivo, in altra parte del sito affermo che non sarebbe sbagliato considerare l’ipotesi di una adozione della beguine come danza tradizionale del nostro paese.

(fonte: www.superballo.it)

7

gennaio

Storia dei balli di gruppo

 

Fino al 1995-96 sembrava semplicemente blasfemo chiedersi se i balli di gruppo potessero diventare una disciplina di danza sportiva. Ancora oggi, c’e’ chi e’ perplesso per la scelta della FIDS di istituire la disciplina comunemente nota come CHOREOGRAPHIC TEAM.

Preciso innanzi tutto, che i balli di gruppo rientrano nella denominazione SOCIAL DANCE. Nelle competizioni, si parla di CHOREOGRAPHIC TEAM, con tanto di regolamento federale.Il successo che la Social Dance ha avuto negli ultimi anni ha convinto tutti, professionisti e non, a prenderne atto. Sarebbe stato sbagliato ignorare o snobbare a lungo un fenomeno di massa cosi’ importante e coinvolgente. La sua  rilevanza è estetica, culturale, coreica e sociologica. E non di secondaria importanza e’ il grande business che ha creato.

Si è dibattuto sulla opportunita’ e sui termini di una codificazione dei balli di gruppo, nonche’ sulle modalita’ di una puntuale regolamentazione delle competizioni che, in breve tempo, hanno preso piede in tutto il territorio nazionale, dalle metropoli ai piccoli centri.Molti hanno invocato la necessita’  di elevare tali balli a Disciplina; altri (soprattutto i Maestri) hanno gridato allo scandalo.

La social dance nasce automaticamente, svincolata da ogni canone.Parecchi maestri si sono dichiarati scandalizzati proprio per gli eccessi di incompetenza e di libertà che si vedono in giro nel costruire coreografie.E’ dipeso dal fatto che le Associazioni del ballo sono state colte alla sprovvista dalle dimensioni del fenomeno, e per troppo tempo questo nuovo prodotto e’ stato gestito (tranne poche eccezioni) da persone che nulla avevano a che fare con il mondo della danza ufficiale, e che non avevano una preparazione di base all’altezza dei compiti e dei tempi. E’ stata la legge del mercato a determinare un simile scompenso. In assenza di maestri interessati a buttarsi in maniera convinta in questa nuova ‘avventura’, gli spazi creati dalla grande domanda sono stati colmati da chi s’è ingegnato prima.

L’esperienza ci insegna che quando una nuova danza viene lanciata a livello mondiale, con tutti i necessari ingredienti musicali e coreografici da gruppi o cantanti famosissimi, la stessa subisce in breve tempo una serie infinita di adattamenti, personalizzazioni, complicazioni, facilitazioni, contaminazioni, snaturamenti, ecc. Ogni nuovo ballo di gruppo e’ un prodotto commerciale vero e proprio a cui si applicano le regole del marketing, del lancio pubblicitario, della diffusione. Basta osservare il redditizio mercato delle videocassette. Ogni volta che esce un nuovo ballo, inizia la corsa ad apprenderlo e la corsa ad insegnarlo.

Il ballo di gruppo, inteso come ballo realizzato da una somma di singoli individui, e’ l’antitesi del ballo ufficiale di coppia, che e’ fatto di programmi codificati in riferimento alla distinzione dei ruoli maschio-femmina.La Social Dance, al contrario, rappresenta un modo libero di muoversi in pista individualmente, senza partner e senza le rigidita’ di vincoli prestabiliti o immodificabili.L’unica regola sarebbe quella di seguire il ritmo della base musicale, lasciandosi andare a personali performances, nella massima naturalezza.

Sulle orme del glorioso, ‘vecchio’ e mai tramontato hully gully, a partire dal 1995, si e’ affermata la moda di questo ballare singolarmente e tutti assieme.Per tale motivo e’ stato ed e’ necessario dare una bussola a decine e centinaia di persone allineate sulla pista, pronte a muoversi al ritmo di brani coinvolgenti.Queste persone hanno l’esigenza minima di uniformare passi e allineamento; esigenza ancora piu’ marcata, in caso di esecuzione di figure elaborate.Hanno bisogno di sentire l’armonia del gruppo.Non a caso, risulta utile il riconoscimento della leadership a qualcuno che guidi tutti gli altri, sia nei passi fondamentali che nei movimenti delle braccia e del corpo.

La moda e la cultura della social dance nascono da una domanda reale; ed il relativo fenomeno continua a crescere per dei motivi ben precisi. Rispetto al numero delle donne che scelgono i balli di gruppo autonomamente dal partner,  le coppie sono  molto di meno. Pertanto, non e’ sbagliato analizzare questo particolare aspetto del fenomeno. La Social Dance si impone al femminile.  Le donne amano ballare. E’ risaputo. Noi maestri sappiamo per esperienza diretta che esse sono molto piu’ portate per la danza rispetto ai maschi. E oggi rivendicano una centralità anche sulle piste da ballo: col partner o senza partner.Col potere che oggi hanno le donne, non dobbiamo meravigliarci di come siano state capaci, direttamente o indirettamente, in pochi anni, di rendere possibile l’affermazione su vasta scala dei balli di gruppo. Non a caso, ne e’ derivato un business di consistenti dimensioni. Tutto l’indotto della danza e’ stato coinvolto nel fenomeno: comprese le case discografiche. Ogni anno, ogni estate, sui piu’ grandi successi mondiali che battono i records delle vendite, si inventano figure di danza sempre nuove ed accattivanti. E le piste accolgono clienti sempre più numerosi, mentre si allarga la fascia di eta’, verso l’alto e verso il basso.

Da un punto di vista sociale, i balli di gruppo sono una invenzione bellissima.All’estero il fenomeno non esiste: molti osservatori stranieri non ci capiscono.Ma il popolo italiano è anche un popolo di ballerini e di fantasisti.

Per quanto riguarda i concetti di stabilità e durata riferito a tali balli, e’ il caso di precisare quanto segue:  ·    Di stabilita’ possiamo parlare senz’altro riferendoci alla portata e alla durata del fenomeno considerato complessivamente; ma non alla tenuta di un singolo ballo. Infatti, la tendenza attuale e’ quella di montare una specifica coreografia su ogni brano musicale di successo: cosi’ facendo, si lega la durata del ballo alla durata del brano musicale, fatta salva  qualche ipotesi di eccezione. Sempre piu’ spesso un ballo di gruppo prende il nome dal brano musicale cui fa riferimento. Cito qualche esempio, allo scopo di far capire l’ampiezza del fenomeno e il relativismo temporale dei singoli successi: o    il ciclone, no tengo dinero, el talisman, la garrota,  la bomba, mueve la colita, vamos a la playa, la copa de la  vida, la rueda de casino, sex bomb, mambo n. 5, vhich doctor, barbie girl, un dos tres maria.

Se si vuole procedere ad una catalogazione dei balli di gruppo, si può partire da una prima suddivisione in due tipologie:  La prima tipologia riguarda i balli di gruppo che vengono creati sulle basi musicali delle danze di coppia:  ·    samba, paso doble, merengue, cha cha, mambo, ecc. La seconda tipologia riguarda i balli di gruppo creati su danze libere (non di coppia): ·    hully gully, can can, twist, menehito, macarena, tiburon, flamenco, ballo del cow boy, limbo, sirtaki, tarantella, swing, tic tac, eotchan, el pam pam, la vuelta, boom boom, ballo del pinguino, el tipitipitero, ecc.

Il business che si e’ creato attorno a questi balli continuera’ ancora per molto tempo; ogni anno verranno montate delle coreografie ad hoc sui maggiori successi discografici, e verranno lanciati altrettanti balli di gruppo.A coloro che fanno fatica ad apprenderli tutti e bene voglio dire una parola di incoraggiamento: l’importante e’ partecipare.

 

(fonti: www.emmedance.altervista.org)